Biogas da alghe: la nuova frontiera della sostenibilità

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Da ormai un lustro assistiamo ad una vera esplosione di progetti nei quali si decanta una fantomatica capacità delle microalghe per pulire l’aria delle città come elemento vivo delle facciate degli edifici, o per produrre del biodiesel “ecologico”. Abbiamo già sfatato il mito delle facciate mangia–smog proposte da tanti architetti–famosi e in cerca di fama– mito che viene amplificato dalla web e dal copia–incolla talvolta senza criteriodi tanti autoproclamati esperti.Pubblichiamo di seguito un’intervista al Prof. Dr. Guillermo García–Blairsy Reina, direttore del Centrodi Biotecnología Marina, Universidad de Las Palmas de Gran Canaria. Il Centro ospita il Banco Español de Algas, una raccolta di campioni vivi iscritta sin dal 2003 nella WFCC (World Federation of Culture Collections, e registrata nel WFCC–MIRCEN (World Data Center for Microorganisms). Sin dal 2005 questo centro di ricerca è accreditato come Autorità Internazionale di Deposito dalla WIPO (World Industrial Property Organization) ai fini della procedura in materia di brevetti di organismi.È l’unica Banca di Alghe accreditata in Spagna, la seconda della UE e sesta nel mondo.

Il Prof. García Reina è un esperto in biotecnologia dei vegetali marini la cui esperienza professionale trascende il solo studio biologico e classifica delle specie. Le sue ricerche comprendono aspetti quali la progettazione di sistemi di produzione, modelli di policolture marine integrate, valorizzazione industriale della biomassa vegetale marina e sviluppo di tecnologie idroponiche nei tre tipi di vegetali marini (microalghe, macroalghe e piante alofite).

M.R.: La maggior parte degli investimenti in algologia applicata si concentrano da alcuni anni nella produzione di biodiesel. A cosa si deve la sua decisione di focalizzare le sue ricerche nella digestione anaerobica?
Prof. García Reina:
Per esplorare vie di produzione di biomassa algale con le quali poter sviluppare un modello di bioproduzione e di bioraffineria con il quale sia più fattibile raggiungere il magico triplo bilancio positivo: energetico, ecologico ed economico. Perfino con le nuove microalghe oleaginose che si potrebbero generare per genomica sintetica, non sono convinto che la coltivazione di microalghe atte per la produzione di biodiesel possa raggiungere questi tre requisiti (a meno che Craig Venter non scopra il contrario). Per la produzione dibiodiesel esistono strategie alternative più efficienti, ma non hanno a che fare conle microalghe. Ad ogni modo, il progetto di metanogenesi da alghe è impostato come l’anticamera a quello di produzione di bioetanolo.

L’autore iniziando il test di digestione anaerobica di biomassa algale con l’ AMPTS (Automatic Methane Potential Test System) del Centro de Biología Marina de Gran Canaria.L’autore iniziando il test di digestione anaerobica di biomassa algale con l’ AMPTS (Automatic Methane Potential Test System) del Centro de Biología Marina de Gran Canaria.

M.R.: Perché è necessario realizzare uno screening di specie?
Prof. García Reina:
Perché è probabile che esistano più di 100.000 “specie” di microalghe e solo conosciamo il comportamento in coltivazione di una trentina scarsa delle stesse. Insisto, il concetto di “specie” è mooolto sottile quando ci si riferisce alle microalghe.

M.R.: È meglio coltivare macro o microalghe? O cianobatteri? O diatomee?
Prof. García Reina:
Né macroalghe né microalghe, credo che la soluzione si trovi nelle “mesoalghe”. “Mesoalga” è una parola che abbiamo coniato per riferirci ai floculi di cianobatteri filamentosi autofloculanti di diametro compreso fra 200 micron e 3 millimetri. Questo nuovo fenotipo/concetto di “mesoalga” coloniale,combina i vantaggi fisiologici delle “microalghe” (tutte le cellule sono fotosintetiche ad alta efficienza) con i vantaggi tecnologici delle “macroalghe”: facili ed economiche dafiltrare in continuo. Abbiamo costatato che le mesoalghe sono facilmente inducibili e stabili, perfino in fotobioreattori di alta idrodinamicità, se si parte dai cepppi adeguati. La raccolta di ceppi di cianobatteri estremofili della Fundación Biogramar ha costituito una impagabile fonte d’ispirazione.

M.R.: Quali vantaggi presenta la digestione anaerobica delle alghe in comparazione con altri tipi di biomassa?
Prof. García Reina:
Non consumano suolo fertile, né acqua dolce, né pesticidi, né fertilizzanti (nel modello IAAB Integrated Acua–Agrobiotechnology), né concorrono negli agro–mercati stabiliti e, fondamentalmente, rendono possibile la nascita di bioraffinerie multiprodotto di alto valore aggiunto.

Il prof. Guillermo García Reina nel deserto del Sahara ricercando alcune specie di alghe che crescono in pozze ipersaline.Il prof. Guillermo García Reina nel deserto del Sahara ricercando alcune specie di alghe che crescono in pozze ipersaline.

M.R.:La salinità non inibisce i batteri metanogenici?
Prof. García Reina
: No. In assoluto. Ai batteri metanogenici marini la salinità non solo non li inibisce, li stimola. È solo questione di saperli cercare.

M.R.: Cos’è il modelo IAAB, e come si integra la digestione anaerobica nello stesso?
Prof. García Reina
: il concetto di IAAB (integrated acua–agrobiotechnology) che stiamo sviluppando, è un modello di ecosistema bioindustriale complesso (ma non complicato) che sorge precisamente come conseguenza di pensare come potrebbe svilupparsi la produzione industriale di microalghe con fini energetici, ma rispettando il requisito di farlo con un triplo bilancio positivo: ecologico, energetico ed economico. La risposta è, concettualmente, semplice: senza costi di pompaggio, né di fertilizzanti azotati, né di fosfati, né di iniezione di CO2 e con raccolta semplice per gravità in sistemi semiautomatizzati composti da fotobioreattori rigidi di basso costo e inoltre, riciclabili. I quattro primi requisiti si possono risolvere con un sistema integrato di policoltivazionie se vengono associati alla fermentazione della biomassa algale (generatrice di CO2 ed energia).

M.R.: Secondo Lei la coltivazione di microalghe in acque residue e con CO2 proveniente da processi di combustione industrialiè davvero fattibile?
Prof. García Reina: Se mi definisce (e stabilizza) le caratteristiche di ciò che s’intende per “acque residue”, e se le stesse contengono un basso carico di materia in sospensione, può darsi che alcune acque residue possano venire utilizzate per la produzione di biomassa algale. Per quanto riguarda invece il tanto decantato argomento di utilizzare i gas da combustione industriale come “la” fonte di CO2 , ho i miei seri dubbi che essi possano avere qualche rilevanza nelle coltivazioni di microalghe in un futuro prossimo. Non perché i gas da combustione siano cattive fonti di carbonatazione algale (tutto il contrario), bensì perché le grandi industrie non si trovano collocate nei deserti, perché un solo grande combustore non serve per carbonatare “alghifattorie” di migliaia di ettari di estensione (per via dei costidi compressione e trasporto dei gas) e perché i grandi combustori industriali non dispongono di grandi estensioni di terreni adiacenti né/o di irraggiamento solare adeguato.

M.R.: Il clima delle Canarie si può considerare privilegiato tanto per la digestione anaerobica come per la coltivazione di alghe. È fattibile applicare questa tecnologia anche nella Penisola Iberica, o perfino in latitudini più elevate di Europa?
Prof. García Reina
: Postulare la coltivazione di microalghe a grande scala, in latitudini superiori ai 30º credo che è assurdo. Perfino lo restringerei alla latitudine 27º. La soluzione alla megaproduzione di biomassa algale per la UE bisogna ipotizzarla collocata nel deserto del Sahara.

Mario Rosato

Mario Rosato Ingegnere

La sua passione sono le soluzioni soft tech per lo sviluppo sostenibile, possibilmente costruite con materiale da riciclaggio. Un progetto per quando andrà in pensione: costruire un'imbarcazione a propulsione eolica capace di andare più veloce del vento in ogni direzione.