Architettura dei rifugi aborigeni: tecniche costruttive e materiali a confronto

Il testo Gunyah, Goondie & Wurley è il risultato degli studi più dettagliati che siano mai stati condotti sull’architettura aborigena. La ricerca dell’antropologo australiano Paul Memmott rivela che gli Aborigeni potrebbero essere considerati i primi architetti del mondo perché autori di alloggi ingegnosi di cui purtroppo oggi non esiste più alcuna traccia.

ABITARE NOMADE: L'EVOLUZIONE DELLA TENDA TRADIZIONALE MONGOLA

La loro architettura è il risultato di un lento percorso evolutivo nel quale si passa da una situazione iniziale di nomadismo (fase 1), attraverso soluzioni abitative transitorie in alloggi temporanei (fase 2), fino ad arrivare alle case di città tradizionalmente intese (fase 3). La loro dimora temporanea tipica consiste in una piccola struttura portante in metallo, ad ambiente unico, priva di servizi, in terra battuta e possibilmente provvista di porticato. L’evoluzione architettonica che porta alla fase 3 prevede l’aggiunta di ulteriori ambienti che si aggiungono a quello unico di partenza, l’impiego di materiali adatti alla costituzione di un piano pavimentato, il rivestimento esterno delle strutture portanti e un limitato numero di servizi. Tuttavia, Memmott documenta che molte delle comunità dell’Australia centrale non attraversano questa evoluzione rimanendo stabili alla fase 2, se non addirittura alla fase 1. Il pensiero generale che sottende questa convinzione diffusa parte dall’assunto che gli Aborigeni siano popolazioni poco intelligenti ed incapaci di migliorare le loro condizioni di vita sviluppando forme abitative tradizionali: ma secondo Memmott si tratta di una generalizzazione suscettibile di essere messa in discussione, in quanto non tiene conto delle differenziazioni insite nei bisogni delle comunità e nei processi di trasformazione culturale.

Secondo lo studioso, gli Aborigeni non erano dunque solo primitivi abitanti di capanne improvvisate per difendersi dal clima e dalle piogge, bensì popolazioni che si distinguevano tra loro per l’autonomia del linguaggio dell’edilizia tradizionale e delle tecniche costruttive, per l’uso di un’incredibile varietà di materiali destinati a costruzioni con destinazioni diverse a seconda delle stagioni. Anche le dimensioni e la forma dei loro rifugi cambiavano in base alle condizioni climatiche da fronteggiare e al numero dei componenti delle famiglie da accogliere.

Capanna a cupola

Tipica delle foreste del Queensland tropicale e del Nuovo Galles del Sud settentrionale, la struttura della capanna a cupola consiste in giunchi coperti di foglie di grandi dimensioni. La capanna è destinata ad ospitare le famiglie per lunghi periodi durante la stagione umida.

 © National Library of Australia © National Library of Australia

Rifugio su palafitte

Costruito su pali alti circa 180 cm, il rifugio su palafitte consta di un ambiente unico costruito su piattaforma in legno e coperto da un tetto a due spioventi rivestito di cortecce di eucalipto. Destinato ad ospitare le famiglie nella stagione delle piogge, si tratta di un riparo a lunga permanenza. Un piccolo focolare situato nello spazio sottostante il rifugio serve a tenere lontane le zanzare.

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Rifugio Humpy

Il rifugio Humpy è una struttura di bastoni avvolta da morbidi strati di malaleuca, deve la sua esistenza a questo particolare albero della famiglia delle Mirtacee, le cui foglie sono impiegate per molteplici usi. La morbidezza e la flessibilità della malaleuca servono per farne stuoie su cui dormire e per foderare le culle. Inoltre le sue proprietà benefiche per l’organismo ne rendono possibile l’utilizzo anche come medicinale. 

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Nel continente Australiano è quindi possibile riscontrare una ricca varietà di materiali e tecnologie che hanno originato, secondo lo studioso australiano “tetti in paglia, erba intrecciata, intonaci in argilla e fango, pavimenti scavati, piattaforma di terra, tetti zavorrati con sabbia, legacci di giunco e fogliame intrecciato”.

Fonti | J. May, Architettura senza architetti, guida alle costruzioni spontanee di tutto il mondo, Rizzoli, 2010. 

Barbara Brunetti

Barbara Brunetti Architetto

Architetto e dottoranda in Restauro, viaggia tra la Puglia e la Romagna in bilico tra due passioni: la ricerca accademica e la libera professione. Nel tempo libero si dedica alla lettura, alla grafica 3d, e agli affetti più cari. Il suo sogno nel cassetto è costruire per sé una piccola casa green in cui vivere circondata dalla natura.