Architettura razionale e organica: gli apporti della filosofia del Novecento

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Sulla scia di Enzo Paci intendiamo sottolineare le corrispondenze fra la filosofia e l’architettura del XX secolo. Come la nuova filosofia nasce dalla dissoluzione della visione sostanzialistica della realtà che non vale più in sé e per sé, così la nuova architettura si caratterizza per la sua lotta all’edificio chiuso senza rapporti con l’ambiente circostante. Il nostro obiettivo è proprio quello di evidenziare lo sfondo filosofico inerente a un modo di fare architettura che, come nel caso del razionalismo e dell’organicismo, ha evitato l’atteggiamento tracotante dell’uomo calcolante e quindi irrispettoso verso natura, ristabilendo il corretto rapporto fra individuo, spazio architettonico e natura.

HUSSERL E IL RAZIONALISMO DI GROPIUS

La prima sperimentazione di questo nuovo modo di fare architettura è testimoniata dal razionalismo di Walter Gropius, i cui blocchi prismatici sono stati composti secondo una metodologia che tende ad integrare l’aspetto funzionale con quello formale. Proprio questa tendenza a cogliere nella funzione un ordine rigoroso, ad isolare essenze funzionali, suggerisce Enzo Paci, apparenta Gropius a Husserl.

Se infatti lo scopo del razionalismo è lo sfruttamento razionale dello spazio e delle risorse disponibili all’insegna di un nuovo rapporto della natura con cui l’uomo si è perfettamente integrato (si pensi all’introduzione dei pannelli modulari di vetro e dei sostegni in acciaio o cemento sugli edifici industriali nella realizzazione delle Officine Fagus), e se questo stesso razionalismo si declina nell’architettura di Gropius nella ricerca di forme semplici e standardizzabili che esprimano il nucleo del processo architettonico, allora il riferente filosofico non può che essere Husserl. Cogliere delle essenze funzionali significa, infatti, riscoprire un’esperienza originaria liberata da tutte le incrostazioni dell’intellettualismo e dei pregiudizi culturali, per cui è necessario mettere tra parentesi (epoché) il mondo con tutte le sue determinazioni e verità, con il fine di riscoprire il rapporto di inerenza che lo lega saldamente all’io.

Il comune modo di approcciarsi al mondo consiste, infatti, nel presupporre che la realtà plasmabile si trovi sempre a portata di mano, l’esperienza fenomenologica, invece, perde momentaneamente il mondo, inteso come mero strumento per determinati fini, per riguadagnarlo nell’ambito della coscienza, che è sempre coscienza di qualche cosa (intenzionalità). Questo “qualche cosa” non ci sta di fronte come un estraneo, ma fa tutt’uno con la coscienza che la pensa. L’esperienza del razionalismo architettonico di Gropius, con la sua fusione di edificio e natura, con la vitalità roteante degli edifici, con il modo di sospendere i corpi edilizi su fasce basamentali rientranti, con il trattamento delle pareti bucate ora da finestre, ora da asole a nastro o ridotte a mere distese di vetro dietro alle quali appaiono le ossature tridimensionali del cemento armato quasi a far perdere di consistenza la materia per consentire a corpi e superfici di essere espressione delle diverse funzioni interne, non è altro allora che il fattivo svolgimento dell’esperienza fenomenologica di “husserliana” memoria.

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WHITEHEAD E L’ARCHITETTURA ORGANICA DI FRANK LLOYD WRIGHT

Pur partendo dai presupposti del razionalismo del Bauhaus, l’americano Frank Lloyd Wright, il fondatore dell’architettura “organica”, realizza, invece, opere che sono tout court in simbiosi con la natura, anzi opere che sembrano emergere dalla natura stessa come un suo prodotto (si pensi alla “Casa sulla cascata” a Bear Run). L’architettura di Wright è, infatti, espressione di quel “processo concrescente organico” che è il concetto base della filosofia realistica e naturalistica di N. Whitehead. Entrambi, suggerisce Pace, attuano una lotta contro il meccanicismo, rivendicano l’appartenenza dell’uomo al processo naturale, pensano che la ragione e la logica non sia sufficiente e che debba essere unita alla ragione dinamica dei processi naturali. Nella opere di Wright si evidenzia proprio il tipico approccio filosofico della filosofia di Whitehead, per cui la natura è l’oggetto della percezione che nell’atto stesso di essere percepita o pensata si rivela come un tutto omogeneo indipendente dalla percezione o dal pensiero. Nel suo sviluppo, dunque, l’universo è un processo di concrescenza al quale contribuiscono ugualmente l’elemento spirituale e quello fisico. Le opere di Wright hanno, in questo senso, il merito di conformarsi alla natura – elemento fisico – o comunque all’ambiente circostante, introducendo, però, enfasi, valutazione, e scopi tutti umani – elemento spirituale – (in questo senso si pensi al famoso museo Guggenheim a New York, che è un tutt’uno con le abitazioni circostanti).

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Per concludere, a noi pare che in generale l’apporto filosofico, a prescindere dal grado di coscienza con cui esso è recepito, sia necessario in ogni concezione dell’architettura che voglia superare i punti di vista parziali per abbracciare una visione olistica dei problemi che interessano l’uomo e l’ambiente in cui vive. La filosofia potrebbe aiutare a recuperare quel concetto di finalità che, insito nell’antico concetto di physis, è stato completamente espunto da certi modi di “fare architettura”, con una perdita totale di senso, che non manca di riflettersi negli eco–mostri sparsi un po’ in tutt’Italia. Il problema risiede, forse, nella confusione perpetuata dalla società consumistica tra il fare e l’agire. Una cosa è “il fare” sciolto da ogni considerazione che non sia il mero calcolo economico, un’altra è agire tenendo presente il contesto e il motivo per cui si agisce.