Countryside ride. L’agricoltura urbana per la progettazione di spazi di vita sostenibile

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Per secoli la città ha rappresentato lo sforzo più notevole dell’uomo di trasformare l’ambiente naturale in un “microhabitat” dagli spazi particolarmente adatti alla vita del genere umano, ma ad oggi si assiste ad un processo inverso: la città è oggetto di uno sguardo più attento da parte di chi ne fruisce, appare come “una grande macchina priva di senso che gira a vuoto (…) vi si dovrebbe poter trovare degli uomini, ma non è detto che il modello urbano lo permetta”(Gilles Clement, Thomas et le Voyageur, Edition Albin Michel, Parigi 1997).

Agricoltura urbana: coltivare orti in città

L’agricoltura urbana sembra rispondere a questo bisogno di cambiamento a partire dalla progettazione sostenibile della città, risorsa e insieme strategia per la trasformazione degli spazi.

Pur continuando a rivestire un ruolo centrale, è proprio in essa che, attualmente, si rendono manifesti i sintomi di un possibile rinnovamento, alcuni dei quali emersi e dibattuti durante R.E.D.S, Rome Ecological Design Symposium (Roma, 26–27 settembre 2013).

Si è parlato di “postmetropolis” descritta da Andrea Branzi, nella quale si ipotizza un processo inverso della Legge di Darwin (nel senso di ricerca di estrema libertà, visibile in alcuni riti tribali, nei seguaci di Francis Bacon che fuggono dalla modernità attraverso gli scarichi dei lavandini e in fenomeni quali il parkour in cui si salta nei vuoti metropolitani, nelle foreste, come scimmie selvagge della modernità) o, agli antipodi, la visione di Willy Muller il quale, per la “sua” Barcellona, auspica una “ipersmart city” caratterizzata dalla presenza di sensori tecnologici in grado di registrare le azioni compiute dai cittadini all’interno della città.

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LA NUOVA REALTÀ “META–URBANA”
Ci troviamo in un nuovo contesto tecnologico, sociale e spaziale di vita, all’interno del quale, il fallimento delle grandi ideologie e di ciò che è stato definito “fattore inerziale”, ossia la rottura del rapporto di causa–effetto che fa sì che il futuro di una città non sia più legato al passato ma esito delle scelte di chi la vive e la governa, che la domanda dei cittadini assume un ruolo preponderante: si abbandona l’illusione demiurgica del city planners, in grado di controllare la città con il suo sguardo dall’alto e si assume il punto di vista che Michel de Certau definisce “del pedone e della strada”.

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Dunque, in questa società “di massa”, che in realtà è la più differenziata della storia, la città, per essere “felix”, deve avere la capacità di rispondere alla domanda della sua gente variegata e non più disposta a “subire” le trasformazioni dei propri paesaggi.

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LA DOMANDA DI “CITTÀ SOSTENIBILI”
Tra le più ridondanti richieste figura quella di “città sostenibile”, che superi una visione prettamente legata ai temi ambientali, verso una dimensione inclusiva, un’ecosofia (Andrea Cavalletti, 2011, Intervista impossibile con Felix Guattari, EWB, Eco web Town. On–line Magazine of Sustainable Design)che coltivi contemporaneamente la sfera ambientale, quella sociale nonché economica, innestando questi tre domini per dar vita ad una crescita di natura differente.

È in questo momento di crisi economica, ambientale ed energetica che si assiste ad un cambiamento del modo di immaginare il futuro: scaturiscono nuove esigenze, prendono piede altri principi quali la voglia di cibo genuino, di natura, la coscienza ecologica, l’attenzione ai localismi e si recupera il “vecchio” paradigma (presente in ogni era e cultura, sottoforma di agricoltura urbana, fatta eccezione per la contemporaneità) della produzione, ossia il suolo viene reinterpretato come risorsa e l’agricoltura urbana come strumento economicamente e socialmente efficace di rinnovamento dello spazio pubblico.

L’agricoltura urbana come sistema di governo del territorio
Solo di recente, nonostante le associazioni governative da tempo siano impegnate sul tema, gli “addetti ai lavori” hanno iniziato a prendere seriamente in considerazione l’opportunità di utilizzare l’agricoltura urbana come strumento di rivitalizzazione degli spazi aperti, sostenibile a tutti gli effetti, dunque non solo green ma sensibile alla varietà co–culturale, alle specificità dei luoghi e alle differenti esigenze espresse dai cittadini i quali, in una “società post patriarcale e globale” hanno stili di vita altamente differenziati.

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Affinché l’agricoltura diventi una reale chiave di rinnovamento delle nostre città deve superare la sua connotazione “residuale” per divenire un vero e proprio sistema agroalimentare, in grado di auto sostenersi, di affermarsi come “tassello” multifunzionale della città, di instaurare connessioni e sinergie tra settori diversi predisponendo luoghi dove le persone siano incoraggiate a comunicare, di stimolare senso di appartenenza ad una comunità, di portare ad un’ibridazione di filiere mettendo in rete pratiche e produzioni locali già esistenti, individuando consumatori, negozi gestiti direttamente dai produttori, fattorie, ristoranti e altre forme di organizzazione collettiva.L’agricoltura dovrebbe essere capace di far permanere la ricchezza nei luoghi di produzione, di slegarsi dai sistemi industriali e distributivi, di produrre qualità valorizzando le peculiarità locali, la biodiversità nell’agricoltura e nell’alimentazione, pronto a riutilizzare i materiali e i rifiuti all’interno del medesimo sistema urbano progettando i vari elementi come un tutto integrato per generare efficienza, con l’obiettivo di trasformare, a lungo termine, la filiera corta in alternativa strutturale per il governo del territorio, per la gestione del paesaggio, la cura dei luoghi, il riuso delle aree dismesse, la creazione di occupazione oltre, ovviamente, la produzione.

Il capitale a disposizione
In un’ottica di “sostenibilità inclusiva” la progettazione deve ragionare sull’esistente al fine di evitare un ulteriore consumo di suolo e la produzione di territori dell’abbandono.

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Infatti, tra le maggiori produzioni di quella che Ciorra definisce “urban age” possiamo annoverare proprio gli scarti, definiti in innumerevoli modi (dross scapes, terrains vague, land stocks, etc) identificabili come brani dimenticati di città e, per tale ragione, vuoti che, in una situazione di tessuto urbano altamente densificato come quello attuale, diventano non solo riserve di territorio ma preziose risorse per la trasformazione sostenibile dell’ipercittà.
Gli spazi vuoti costituiscono dunque un valore centrale per la città contemporanea e possono essere sublimato attraverso il circolo virtuoso del riciclo, mediante una strategia flessibile, in grado di accogliere la complessità della situazione contemporanea.

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AGROPOLIS
Importante esempio di pianificazione di un sistema agroalimentare nel panorama dell’urbanistica internazionale è Agropolis, progetto vincitore dell’Open scale di Monaco 2009. Un’area ancora inutilizzata della città di Monaco di Baviera, più precisamente uno spazio in ”attesa” della realizzazione di un nuovo quartiere per 20.000 residenti, viene arricchita mediante la previsione di uno stile di vita sostenibile attraverso l’attuazione di una strategia alimentare complessiva dunque a risparmio energetico, a ridotte emissioni in grado di produrre, oltre al cibo, occupazione, energia, riciclo, svago ed educazione.




Giulia Radaelli

Giulia Radaelli Architetto

Innamorata dello spazio nel senso più lato del termine coniuga questa passione con la professione di architetto. Nel tempo libero si diletta con la fotografia, per cogliere l’inusuale nella quotidianità trascurata dall’occhio distratto, con viaggi e immergendosi in romanzi capaci di condurre in realtà lontane.