Biogas domestico e l’utopia di un digestore da 100 euro

biogas domestico

Senza mettere in discussione la fattibilità tecnica di produrre biogas domestico per autoconsumo, vediamo perché costruire “il digestore da 100 €” nella nostra società europea è solo una mera utopia.

LE LIMITAZIONI TECNOLOGICHE

La degradazione anaerobica

La degradazione anaerobica delle sostanze organiche è un processo delicato, complesso e per certi versi non del tutto conosciuto. Possiamo paragonare un digestore ad un ecosistema di batteri nel quale ogni fattore di squilibrio può portare all’“estinzione” locale di una o più specie, con conseguenze nefaste per le altre. In poche parole, un digestore mal gestito darà come risultato un gas con un contenuto di metano troppo basso, inutilizzabile, ed un fango carico di materie organiche non degradate e maleodoranti.

La posizione geografica

Una caratteristica che accomuna i paesi dove i digestori anaerobici domestici sono molto diffusi, è la posizione geografica in zone tropicali, dove il ritmo di fermentazione è abbastanza stabile perché le temperature si mantengono alte durante tutto l’anno. Al di sotto dei 10ºC la fermentazione anaerobica si blocca quasi completamente, e fra i 10ºC ed i 25ºC il suo ritmo è piuttosto lento, comportando dunque tempi di digestione molto lunghi e digestori molto grandi. Non è un caso che tutte le realizzazioni su piccola scala che si vedono nei blog e le pagine delle ONG internazionali si riferiscano a singole abitazioni o al massimo a villaggi –di qualche decina di abitanti– invariabilmente collocati in zone remote, dove lo spazio non manca.

L’agitazione

L’agitazione è un altro fattore importantissimo, talvolta tralasciato perfino in impianti industriali “occidentali”. L’eccessiva agitazione comporta uno spreco di energia elettrica, la limitata o la mancanza di agitazione comporta invece bassa efficienza di degradazione anaerobica, formazione di “zone morte” all’interno del digestore e resa di metano aleatoria. Il fango contenuto nelle zone morte con il tempo forma dei sedimenti mineralizzati, i quali alla lunga finiscono per otturare definitivamente il digestore. A questo punto si renderà necessaria la sgradevole e costosa operazione di svuotamento e pulizia, oppure l’abbandono del digestore e la sostituzione con uno nuovo.

Il grado di triturazione

Il grado di triturazione della materia da digerire ha una notevole influenza sulla resa di biogas. Ad esempio, ridurre l’erba da 10 mm di dimensione media a meno di 3 mm comporta un aumento della quantità di metano prodotto fino al 60%. Aumentare il grado di triturazione comporta un maggior dispendio di energia, nella nostra società “tecnologica” sarà inevitabilmente quella elettrica, la più cara. Se nei paesi in via di sviluppo tutti questi problemi vengono ovviati facendo il digestore più grande, pestando i rifiuti in un mortaio (il più delle volte ad opera di donne, più raramente adoperando un bue o altri animali da soma) ed infine gestendo manualmente ogni evenienza, nella nostra società industriale sarebbe inammissibile, per ogni consumatore, dover spalare fanghi o dedicare troppo tempo al giorno a controllare svariati parametri (pressione, temperatura , quantità di rifiuti caricati, quantità di digestato estratta e livello di carico) per non parlare poi della seccatura di triturare a mano i rifiuti. 

Certamente, se si volesse gestire in modo automatizzato il controllo di queste operazioni, allora l’ipotetico digestore domestico non potrebbe mai costare 100 €.

LE LIMITAZIONI CULTURALI

Mentre in India e in altri Paesi larghe fasce della popolazione utilizzano sterco di mucca secco come combustibile per cucinare, e quindi non hanno problema alcuno a manipolare quello fresco, oppure gli effluenti di un digestore domestico, nella nostra società la sola idea fa storcere il naso alla maggior parte delle persone, con l’onorevole eccezione di chi ha già la coscienza ecologica e anche lo spazio per praticare il compostaggio domestico.

LE LIMITAZIONI NORMATIVE E DI MERCATO

Un altro fattore limitante per i digestori domestici è l’impossibilità legale di allacciare un digestore all’impianto di gas esistente in un’abitazione e di utilizzare la rete di distribuzione del metano come “polmone” d’accumulo. In data odierna (maggio 2012) nella bozza dell’AEEG, pubblicata a scopo di consultazione previa all’emanazione dei regolamenti tecnici, gli adempimenti per l’immissione di biometano in rete si prefiggono abbastanza complicati. I requisiti tecnici sono talmente complessi che i microimpianti domestici che abbiamo ipotizzato raggiungerebbero un costo improponibile.

Va ricordato che il biogas non è metano puro, quindi per poter essere bruciato nei nostri fornelli standard si rende necessario purificarlo, oppure installare dei fornelli appositamente progettati. Quindi vediamo ancora aumentare la complessità di un ipotetico digestore domestico che sia accettabile per la società europea. La foto in basso, tratta da un vecchio manuale di una associazione umanitaria latinoamericana, mostra un bruciatore specialmente costruito per essere alimentato con biogas.

Tecnicamente funziona senza problemi (infatti è stato appositamente progettato da un ingegnere per funzionare, anche se può sembrare il contrario) ma … è molto improbabile che nessun installatore italiano firmi un certificato di esecuzione a regola d’arte di un impianto siffatto. Quindi troviamo una doppia barriera da abbattere per poter diffondere i digestori domestici in Europa: normativa (non sono ammessi bruciatori autocostruiti) e di mercato (mancano apparecchiature domestiche progettate e certificate per poter funzionare a biogas). L’unico modo per raggirare queste due barriere sarebbe praticare il cosiddetto “upgrade” del biogas a biometano (gas con almeno 95% di purezza) per utilizzare le apparecchiature a gas esistenti e omologate. Tecnicamente è fattibile, ma i costi di sviluppo industriale e marchiatura CE comporterebbero un costo d’impianto sicuramente elevato. Il costo di operazione di un ipotetico microsistema di upgrade sarebbe comunque da verificare.

IL DIGESTORE DA 100 €

A tutti i lettori e lettrici che mi hanno interpellato chiedendo informazioni su un ipotetico digestore di basso costo pubblicizzato in qualche blog, vorrei segnalare che perfino in un paese come il Senegal, dove la produzione domestica del biogas è sovvenzionata dal governo, fino al 35%, il costo totale dell’impianto si aggira attorno ai 1.000 €, ed il prodotto è piuttosto rudimentale.

Biogas-domestico-100-c

Indipendentemente dai fattori di mercato, rimane auspicabile una semplificazione normativa che renda fattibile lo sviluppo commerciale di microdigestori tecnicamente evoluti a prezzi comparabili a quelli di un elettrodomestico o di una TV di grande formato. Il potenziale di risparmio per le famiglie e per lo Stato esiste ed è importante, manca solo la presa di coscienza e la volontà della classe politica per spingere anche questa semplice tecnologia pulita. Ancora una volta l’esempio viene dai paesi scandinavi: la foto in alto mostra un autobus a biogas della città di Malmö, in Svezia. Qui la digestione domestica è parziale: dei predigestori condominiali (allo stile di quelli proposti da Pasteur!) accumulano e prefermentano i resti da cucina triturati. La digestione vera e propria avviene nel digestore municipale. Niente cassettoni dell’immondizia nelle strade, niente puzze, minori costi di raccolta differenziata, maggiore qualità del digestato da avviare all’agricoltura, minore carico organico per gli impianti fognari e sopratutto... i risparmi conseguiti si traducono in riduzione di tasse per il cittadino, ed aumento della qualità di vita. Posso confermare che lo scarico degli autobus a biometano è decisamente meno fastidioso di quelli a gasolio.

Mario Rosato

Mario Rosato Ingegnere

La sua passione sono le soluzioni soft tech per lo sviluppo sostenibile, possibilmente costruite con materiale da riciclaggio. Un progetto per quando andrà in pensione: costruire un'imbarcazione a propulsione eolica capace di andare più veloce del vento in ogni direzione.