Rob Hopkins e le Transition Town in 5 step

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“Minimizzare il nostro impatto sull’ambiente non significa abbassare i nostri standard di vita, ma innalzarli”.Questo è il messaggio che Rob Hopkins, co–fondatore del movimento delle Transition Town ha lanciato nella recente conferenza sulle Transition Town tenutasi il 24 settembre a Parma, organizzata dall’associazione Kuminda – Diritto al cibo. L’incontro pubblico è stata un’occasione per tutti coloro che volevano saperne di più su come attuare questo processo virtuoso di decrescita, e Hopkins ha illustrato la sua ammirevole esperienza articolandola in 5 step fondamentali, che proverò a raccontarvi.

STEP 1 | STARTING OUT

Iniziare.

Per avviare un percorso di transizione, occorre cominciare ad essere “resilienti”, ed è proprio alla base di questo concetto che ruota la visione socio–economica proposta e sperimentata da Hopkins. La nostra attuale economia, e questo è innegabile, è cresciuta ed ha prosperato grazie al petrolio e le nostre vite dipendono, che lo vogliamo o no, da questa risorsa. Il punto è che presto o tardi non potremo più permettercelo, perché anche se il petrolio non dovesse esaurirsi nell’immediato, sappiamo benissimo cosa succede quando esso inizia a scarseggiare: prezzi alle stelle, crisi dell’economia, austerity, guerre coloniali (o se preferite, “missioni di pace”, così la coscienza è pulita) e altre nefandezze. Bisogna dunque ripensare a partire dalle nostre abitudini il concetto di sviluppo, di economia, di trasporti e di città; preparandoci a rispondere con efficacia ai cambiamenti che verranno. Essere resilienti, per l’appunto.

STEP 2 | DEEPENING

Approfondire.

Quando si ragiona di temi come Decrescita, Transizione o Sostenibilità, è pressoché impossibile evitare di imbattersi in coloro che agitando il dito ammoniscono con seriosa superficialità: “Ehi, ma questo è un modo di vedere il mondo primitivo! Fosse per quelli come voi accenderemmo ancora il fuoco strofinando rametti secchi!”, che tradotto vuol dire “Io non sono in grado di comprendere questa visione del mondo, perciò dev’essere sbagliata. E poi curare un orto non è per niente cool, non si addice per nulla alle mie nuove Hogan”. Inutile tentare in questi casi di ricondurre alla ragione i numerosissimi soggetti affetti da questa sindrome, non serve a niente provare a spiegare che non c’è nulla di primitivo nel risparmiare risorse e ridurre gli sprechi, nulla di retrogrado nella filiera corta e nell’autoproduzione, nulla di apocalittico nella riduzione delle emissioni di CO2 e nel prepararsi ad un mondo senza petrolio: c’è solo un po’ di buon senso, questo sì antico e fuori moda. Progettare lo sviluppo nel lungo termine, prepararsi alla prossima rivoluzione energetica, concepire il mondo nel rispetto degli altri e della natura è invece la visione del futuro più moderna e profonda che esista.

STEP 3 | CONNECTING

Connettersi.

Rob Hopkins, descrivendo le esperienze di molte transition town britanniche, ci fa riflettere su come sia fondamentale la creazione di gruppi indipendenti e ben informati di cittadini predisposti al consumo critico, come ad esempio i Gruppi di Acquisto Solidale, di come ciò costituisca il primo passo per la creazione di economie locali e solidali. Lo scambio di esperienze, la comunicazione e la connessione di cittadini in rete, il libero scambio e la libera conoscenza: questo èil collante di tutte le transition town. Tramite questi gruppi di cittadini, si arriva a conoscere nuove idee, ad ampliare la propria rete di relazioni e amicizie; si creano legami con altri gruppi e si impara a valorizzare le unicità del proprio territorio. Ma soprattutto, si inizia a programmare il futuro della propria città e ad adottare abitudini di vita alternative e sostenibili. L’importanza degli individui è infatti centrale, mentre le istituzioni, in questo processo, non hanno che un ruolo di supporto: Hopkins aggiunge infatti che “Molte amministrazioni politiche si stanno sensibilizzando, spesso mi chiedono: come possiamo far diventare la città, una transition town? – Io rispondo: non potete, è la gente che deve farlo. Voi potete solo supportare le loro iniziative, ma è un cambiamento che non si può imporre dall’alto.”

STEP 4 | BUILDING

Costruire.

Ma Come? Sfruttando il potere che deriva proprio dallo step precedente, cioè aggregando idee, persone ed esperienze, procedendo anche per imitazione di esempi virtuosi nel mondo, e soprattutto prestando la massima attenzione alla riscoperta delle risorse locali, creando mercati indipendenti e legati all’agroalimentare. Ciò in ogni transition town ha portato di conseguenza a disertareil luogo della perdizione economica per eccellenza, ovvero il maxi centro commerciale unico, in luogo della più sana e redditizia creazione di piccoli mercatini di quartiere, capillari e diffusi. Ciò significa avere un rapporto diretto con i produttori, il che comporta niente più intermediari costosi, niente più imballaggi e controimballaggi di plastica e quindi meno rifiuti, ma anche e soprattutto sani alimenti freschi di stagione. Altra cosa fondamentale per una transition town è la creazione di moneta locale di proprietà dei cittadini, strumento la cui adozione ha fatto sobbalzare (ovviamente) sulla sedia molti banchieri e finanzieri dell’estabilishment, i quali come ogni avvoltoio che si rispetti, traggono disappunto quando la promessa di una preda svanisce.

Hopkins cita l’esempio di Brixton, “the colorful, multi–ethnic district of London”, dove i residenti si sono dotati della propria moneta, il Brixton Pound (B£) banconote firmate non dal Governatore Centrale o da chissà chi, ma dai cittadini che l’hanno inventato. L’evidente vena parodistica e irriverente si evince anche dalla scelta dei colori allegri e dalle figure rappresentate: basti dire che sul taglio da 10 campeggia il volto del signor David Bowie. Cosa volete di più? Il potere d’acquisto è superiore alla sterlina, e le persone ne sono ovviamente entusiaste:

Sempre con il con il brixton pound, è possibile pagare i propri acquisti con un semplice sms:

Emblematico e degno di nota è il caso narrato da Hopkins di due panettieri inglesi che hanno chiesto un prestito ad altri cittadini per aprire il proprio forno, impegnandosi a restituirlo al 7% di interesse (!), ma non in moneta, bensì in PANE. Per un panettiere, il quale ogni giorno ha quantità di pane invenduto che dovrebbe buttar via è un affare unico, altro che spread del bund sul bot o altre amene supercazzole ben prematurate (con fuochi fatui), a dimostrazione che la crisi si può sconfiggere con l’intelligenza. Think Global, Act Local, it’s easy.

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STEP 5 | DARING TO DREAM

Osare di sognare.

Ovvero, immaginare di fare ancora di più. “Cosa accadrebbe se ognuno di noi si prendesse mezz’ora ogni domenica per piantare un albero?”, si domanda Rob Hopkins, portando come esempio la propria esperienza nella città di Totnes, dove il weekend è diventato occasione per costruire passo dopo passo (step by step, appunto) una città non solo più verde, ma anche più giusta, poiché gli alberi che si è scelto di piantare sono soprattutto alberi da frutto; recuperando in questo modo parti di città, ottenendo fonti di cibo gratuite per i cittadini e creando veri e propri orti civici.

Sempre in questa prospettiva si inserisce il progetto del “Garden Sharing” la condivisione cioè del proprio giardino (del quale non si ha il tempo, la voglia o le competenze per curarlo) con quei cittadini che tanto desidererebbero coltivare un proprio orto, ma che non posseggono il terreno per farlo. Si avvia così un circolo virtuoso con il recupero di aree verdi abbandonate a se stesse o mal tenute, la produzione di cibo a km 0, la possibilità di imparare da chi ha più esperienza e la condivisione del cibo prodotto insieme, recuperando così una perduta dimensione di convivialità.

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Sulla base di queste esperienze, è facile capire che non possiamo più stare a guardare, dobbiamo fare qualcosa anche noi nel nostro piccolo: più adotteremo strategie di sviluppo sostenibile, meno impreparati verremo colti dall’inevitabile cambiamento, godendo del doppio vantaggio di avere non solo più chanches di prosperità economica e benessere, ma anche e soprattutto di poter costruire con le proprie mani il proprio futuro, non più subirlo.

Alberto Grieco

Alberto Grieco Architetto

Frequentando una signora chiamata Storia, ha scoperto che l’architettura bio-eco-ecc. non ha inventato Nulla©, ed è per questo che perde ancora tempo sui libri. Architetto per vocazione; tira con l’arco, gira per boschi, suona e disegna per vivere. Lavora nel tempo libero per sopravvivere.