Le oasi: esplosione di vitalità nel deserto, espressione di sostenibilità, esempio di virtù del passato

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Oggi l’idea che le oasi siano un ecosistema creato dall’uomo è accettato dalla maggior parte degli studiosi, ma fatica a passare nelle enciclopedie. Il merito di tale scoperta (avvenuta negli anni ’80) è dell’architetto materano Pietro Laureano, al quale l’Algeria si è recentemente affidata per il recupero di oasi (oltre 80), stanziando 5 milioni di euro. Ma il concetto di oasi è in realtà molto più ampio di quanto si pensi, e non riguarda

solo i gruppi di palme solitarie in mezzo delle dune di sabbia:

L’oasi è un insediamento umano in situazioni geografiche inclementi che utilizza risorse rare, disponibili localmente, per innescare un’amplificazione crescente di interazioni positive e realizzare una nicchia ambientale fertile e autosostenibile le cui caratteristiche contrastano l’intorno sfavorevole’.

L’oasi non è infatti una macchia di verde che compare all’improvviso. L’oasi si annuncia lentamente con una prima comparsa di rada vegetazione che diventa via via più fitta, fino a diventare un bosco. L’oasi è un’esplosione di vitalità, per la forma gioiosa delle palme, per l’acqua, per gli alberi da frutta e i verdissimi orti, per la presenza di persone e animali, per i colori degli abiti e delle porte della case. Nelle oasi la vita scorre tranquilla con un ritmo da noi mai conosciuto o dimenticato e difficile da recuperare.

LE OASI: NON SOLO QUELLE ICONOGRAFICHE DEL SAHARA
Le oasi non sono neanche solo quelle iconografiche del Sahara, ma sono anche tutti i villaggi desertici in terra cruda, le oasi di pietra negli altipiani rocciosi, oasi di mare nelle isole. Persino nelle foreste pluviali possono essere definiti sistemi di oasi gli insediamenti Maya nello Yucatan che per l’ambiente carsico non disponevano di corsi d’acqua superficiali. Nicchie di civiltà che hanno sviluppato sistemi di oasi si riscontrano in tutto il Mediterraneo. La maggior parte delle oasi sono dunque il risultato delle capacità intellettive umane di creare una situazione vivibile in un ambiente ostile, i terminali di gigantesche reti idriche sotterranee, migliaia di chilometri di gallerie, sfruttate dalle popolazioni del deserto per raccogliere e conservare l’acqua di condensa prodotta dalla forte escursione tra giorno e notte.

L’EFFETTO OASI
Una piccola depressione è sufficiente a raccogliere umidità, un sasso dà ombra, un seme attecchisce. Si scatenano dinamiche via via più complesse: la pianta che cresce genera la sua stessa protezione ai raggi del sole, e più cresce più concentra vapore acqueo, attira più insetti, produce più materia biologica, e lentamente costruisce da sé il suolo da cui a sua volta si alimenta. Di pari passo, l’azione corrosiva del vento diminuisce progressivamente grazie all’incremento di vegetazione, e così aumenta la capacità delle piante di creare l’humus necessario a trattenere la sabbia del deserto. Si crea un vero e proprio “effetto oasi”; un delicato microsistema biologico utilizzato da altri organismi che apportano a loro volta un ulteriore e determinante contributo di sviluppo, che come in ogni simbiosi, è frutto di una perfetta coesistenza armonica. È osservando, conoscendo e infine utilizzando questi processi che le genti del deserto hanno sviluppato le tecniche grazie alle quali hanno realizzato (e tutt’ora realizzano) le proprie oasi.

TECNOLOGIA MODERNA vs CONOSCENZA TRADIZIONALE
La tecnologia moderna cerca l’efficacia immediata tramite la forte specializzazione delle conoscenze gestite da strutture dominanti, capaci di mobilitare in tempi rapidi risorse esterne all’ambiente. La conoscenza tradizionale invece misura la sua funzionalità sul lungo e lunghissimo periodo servendosi di un sapere condiviso, creato e tramandato attraverso le generazioni e utilizza risorse rinnovabili. Grazie alla tecnologia moderna, ad esempio, si sono scavati pozzi a grande profondità pompando l’acqua in superficie con risultati rapidamente verificabili, è vero, ma prosciugando le risorse limitrofe. Molto spesso, pescando in sacche idriche fossili, ne determinano l’esaurimento completo nel tempo. Il sapere tradizionale al contrario, consapevole della delicatezza degli equilibri naturali su cui si interviene, ha prodotto efficaci sistemi di raccolta di acqua meteorica o delle falde superficiali sfruttando metodi di prelievo che permettono la ricostituzione della risorsa e la sua durabilità nel lungo periodo. Solo in questo modo si assicura la prosperità dei luoghi e l’arresto della desertificazione. Non è infatti il deserto ad avanzare, sono le terre fertili che retrocedono. Incuria, degrado, speculazione sono infatti i migliori alleati della desertificazione.

L’oasi è quindi una lezione di virtù del passato, un esempio di sostenibilità: è l’instaurazione di un circuito virtuoso capace di autopropulsione e autorigenerazione. Questo processo può benissimo essere assunto come modello e si può estendere il termine oasi a tutte le situazioni, anche in area non desertica, per la creazione di isole di vivibilità, magari proprio nelle nostre città invivibili, sature di cemento, inquinamento e suoli minacciati. Ma finché a prevalere saranno le logiche speculative e gli affari bipartisan a scapito del territorio, questo resterà solo un miraggio.

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Leggi un articolo su come fermare la desertificazione recuperando le oasi











Alberto Grieco

Alberto Grieco Architetto

Frequentando una signora chiamata Storia, ha scoperto che l’architettura bio-eco-ecc. non ha inventato Nulla©, ed è per questo che perde ancora tempo sui libri. Architetto per vocazione; tira con l’arco, gira per boschi, suona e disegna per vivere. Lavora nel tempo libero per sopravvivere.