L’edonismo sostenibile di Bjarke Ingels e la fine delle Archistar

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Bisogna ammettere che la sostenibilità va di moda. Parlarne attira attenzione e fa discutere. Non sempre però chi ne parla è realmente intenzionato a fornire il proprio contributo alla causa, quanto piuttosto a reclamizzarsi, a trovare il modo per finire in prima pagina sulle riviste. Gli architetti, quindi, sono una categoria professionale guidata da motivazioni eticamente valide oppure dei demagoghi spinti verso

la ricerca dell’affermazione professionale?

Della figura dell’archistar oggi rimane ben poco, questa si è evoluta nei suoi aspetti negativi fino a ridefinirsi sotto altri termini quando si è intuito che nell’opinione pubblica si era ormai radicata un’accezione negativa di questo neologismo. E allora come ovviare al problema?

In molti si saranno posti questa domanda e almeno una volta, spero, si saranno chiesti il motivo per cui opere tanto celebrate dalla critica venissero poi aspramente giudicate da coloro a cui l’Architettura si è sempre rivolta: le persone.

Si sono quindi perseguite due strade, mosse da obiettivi comuni ma sviluppatesi su tragitti diversi. Nel primo caso ci si è convinti che l’architettura fosse un’espressione artistica individuale, una sorta di retrospettiva del proprio ego da proporre al mondo come affermazione dell’estetica sull’utilità. Nell’altro caso, invece, si è cercato di comprendere i cambiamenti della società assecondando le esigenze concrete delle persone a cui ci si rivolgeva.

L’EDONISMO SOSTENIBILE

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Nasce così una nuova generazione di architetti che ha compreso l’importanza di affascinare la gente offrendo loro ciò che non sapevano di desiderare, e finiscono col desiderarlo perché riescono a comprenderne l’utilità, il processo creativo, l’onestà di intenti. È così che l’Architettura diventa pubblicità ed in questo Bjarke Ingels (architetto danese, fondatore dello studio BIG ndr.) è un genio. Ha riscritto le regole del gioco, irrompendo sulla scena con un modo nuovo di rivolgersi al grande pubblico, ed ha sviluppato (e non copiato!) gli insegnamenti di Rem Koolhaas spazzando via in un colpo solo un’intera generazione di suoi epigoni.

Attualmente BIG sta divulgando le sue idee sull’edonismo sostenibile e c’è da scommettere che riuscirà nel suo intento, e che il suo carisma riuscirà in futuro a condurci verso città più sostenibili e divertenti di quelle a cui siamo abituati… e chi sa se anche in questo verrà copiato!

Sustainability is often misunderstood as the neo–protestant notion that it has to hurt in order to do good”. “You’re not supposed to take long warm showers – because wasting all that water is not good for the environment

You’re not supposed to fly on holidays – because airtraffic is bad for the environment”.

Gradually we all get the feeling that sustainable life simply is less fun than normal life. If sustainable designs are to become competitive it can not be for purely moral or political reasons – they have to be more attractive and desirable than the non–sustainable alternative” Bjarke Ingels, Fondatore dello studio BIG