Cohousing: Tamassociati ci racconta come nasce un ecoquartiere

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Il 14 e 15 dicembre 2012 Salerno ha ospitato la seconda edizione del workshop “Biocity. La città intelligente“ , una due giorni di incontri il cui titolo è ”Ecoquartieri. Ambienti urbani sostenibili. Incontri sul vivere green", per scoprire e capire quali forme di cambiamento sono possibili nelle città per migliorare la nostra qualità della vita.Tra gli ospiti, l’arch. Simone Sfriso dello studio Tamassociati di Venezia, che nel suo intervento ha raccontato quale fosse il ruolo del nucleo abitativo all’interno di un quartiere ecosostenibile e presentato il caso studio dell’ ecoquartiere Quattro Passi di Villorba, interessante esempio di cohousing e progettazione partecipata.

Architettura Ecosostenibile ha intervistato l’arch. Sfriso di Tamassociati, poche domande che inquadrano l'appuntamento salernitano e fanno chiarezza su risvolti sociali del cohousing.

Quali sono le condizioni di partenza e le motivazioni che portano alla nascita di un’ esperienza di cohousing?
Simone Sfriso: Cohousing significa co–abitare, abitare insieme e identifica degli insediamenti residenziali composti da abitazioni private correlati da un insieme di spazi coperti e scoperti, coniugando l’autonomia dell’abitazione privata con i vantaggi, le risorse, gli spazi e i servizi condivisi: si pensi a sale polifunzionali, cucine comuni, lavanderie, locali per la musica, guest house, dunque spazi fra loro molto diversi. Non esiste un modello preciso di realizzazione. Le comunità di futuri abitanti sono coinvolte fin dall’inizio nel processo di cohousing e scelgono le linee guida del progetto. Si tratta di una forma di vicinato insediativo che risponde ad una necessità di mutuo scambio e aiuto, che si accosta, come afferma Marianella Sclavi nell’introduzione al libro “Vivere insieme: cohousing e comunitàsolidali”, alla ricerca di una vita sociale più accogliente, gradevole e ricca.

Infatti questa è una richiesta che giunge trasversalmente dalla popolazione. Allora, quali sono le richieste che giungono più di frequente e come sono recepiti i desideri ed i bisogni dei futuri abitanti delle comunità da parte delle istituzioni, ad esempio dalle amministrazioni comunali?
S.S.: Solitamente le caratteristiche che si ritrovano sono quattro:

  1. la partecipazione, cioè il ricorso a forme di progettazione partecipata che prevedono il coinvolgimento degli abitanti fin dall’inizio;
  2. il design pro–comunità, perseguito sul piano spaziale per facilitare i rapporti di vicinato;
  3. gli spazi comuni, o meglio la compresenza di spazi privati e servizi condivisi;
  4. la gestione diretta: l’insediamento è amministrato dalla comunità e al suo interno ogni decisione è presa non per maggioranza, ma per consenso.

Per quanto riguarda il recepimento da parte delle istituzioni, le esperienze del cohousing sono molto indietro rispetto ai paesi in cui è nato, cioè la Danimarca, dove nasce negli anni Sessanta, o i paesi scandinavi, l’Inghilterra e gli Stati Uniti. In Italia, si assiste ad un crescente interesse per queste realtà. Si pensi ad esempio ai condomini solidali, al progetto di cohousing di Bologna, quello di Villorba (TV) in fase avanzata, di Mestre, Torino, Modena, Faenza, in Toscana. Nel caso di S. Lazzaro di Savena, nella provincia bolognese, il progetto é stato promosso dall’Associazione È/co–housing, che ha preso contatto con il Comune per cercare un lotto di 2000 mq destinati ad edilizia abitativa per realizzare il progetto di cohousing. Il comune ha recepito questa istanza ed ha emesso un bando per la vendita di questo suolo. L’associazione si è poi aggiudicata l’asta e ha presentato il progetto. Fra due mesi siamo pronti ad andare in cantiere. In questo caso l’amministrazione comunale ha favorito l’iniziativa nell’ambito di un progetto di edilizia convenzionata, prevedendo un bonus di superficie comune e l’investimento degli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria per un parco adiacente al lotto. Il risultato è un’interazione tra l’ iniziativa privata e il progetto di un parco pubblico. La P.A. ha tutti gli strumenti per favorire progetti sociali e, ovviamente, ha un suo interesse.

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Se la trasformazione nasce dal basso, qual è il ruolo dell’architetto?
S.S.: Per questi progetti ci vogliono competenze più specifiche del nostro solo ambito disciplinare. Ci vogliono capacità di facilitatore, mediatore. Un progetto partecipato è più complesso. Non si ha più a che fare con un committente, ma con un gruppo di committenti e bisogna far coincidere gli interessi individuali con quelli della collettività.

Dal nucleo abitativo, alla dimensione del quartiere…qual è il futuro degli ecoquartieri? come metterli in rete tra loro? Occorre pensare ad una loro proliferazione, come nel caso di Treviso Nord e del nuovo progetto per Treviso Sud?La pratica del cohousing ha tutte le potenzialità di uno strumento di rilancio economico e allora viene da chiedersi il perché sia ancora così poco diffuso nonostante la persistente cementificazione dei centri più piccoli (specie nel Sud d’Italia) e la crescente necessità di un vivere sano…

S.S.: In Italia si è diffusa tardi. Qui, dove il nucleo familiare ha resistito più a lungo, anche i processi disgregativi del nucleo familiare sono arrivati più tardi. I nuclei di cohousing, condividendo ottiche comuni si mettono in rete tra di loro, fanno massa critica. Un primo gruppo che ha partecipato al progetto dell’eco quartiere Quattro Passi di Villorba ha cercato un secondo gruppo, che ora sta individuando l’area di progetto. Si è dunque fatto promotore di un tema sociale, l’iniziativa viene dal basso. Sicuramente le grandi città hanno un patrimonio edilizio enorme, fatto di edifici non utilizzati o sottoutilizzati, ad esempio le aree periferiche per meccanismi sociali che si innestano nei quartieri. Si pensi al quartiere Vauban di Friburgo, di circa 4000 abitanti, in cui più del 50% degli abitanti ha rinunciato all’auto, preferendo il car–sharing e scegliendo il servizio di trasporto pubblico. È questa la sfida, non tanto quindi l’espansione delle città o dei quartieri, quanto piuttosto lavorarvi all’interno per promuovere e innescare processi virtuosi.

Anellina Chirico

Anellina Chirico Architetto

Cilentana, si avvicina al mondo delle costruzioni per gioco grazie ad un regalo della Befana. Quella casa in legno da montare diventa una passione e decide di farne il suo mestiere. Quando ripone matite e computer, guarda fuori dalla finestra, parla tanto e lavora a maglia.