Biotecnologie per la produzione di energia rinnovabile e materiali da costruzione

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Le fonti d’energia rinnovabile, se comparate con i combustibili fossili e l’elettricità fornita dalla rete nazionale, si caratterizzano in genere per la loro bassa densità di energia, definita come la disponibilità di kWh per unità di peso o di volume dell’impianto o del dispositivo. La discontinuità, talvolta aleatoria della produzione di energia rinnovabile, le difficoltà tecniche e i costi associati allo stoccaggio sono i principali limiti alla diffusione capillare, almeno fino a tempi recenti. L’idrogeno è stato definito da mezzo secolo come il “vettore energetico del futuro”, tuttavia la sua applicazione commerciale è ostacolata per diverse ragioni. Le possibili soluzioni tecniche ai menzionati problemi sono due: sviluppare biocombustibili realmente sostenibili, in grado di rimpiazzare quelli fossili nel breve termine, oppure sviluppare una nuova tecnologia rivoluzionaria per l’accumulo d’energia ad alta densità (ad esempio: supercapacitori, supermagneti, e materiali superconduttori ad alta temperatura, tuttora in fase di ricerca e sviluppo).

La prima delle due alternative può essere implementata in tempi relativamente brevi e con modesti investimenti (dipendente da un forte supporto politico), mentre la seconda necessita ancora di molta ricerca, la quale nel caso di raggiungere risultati positivi obbligherebbe la sostituzione della maggior parte dell’attuale infrastruttura di distribuzione dell’energia. Le biotecnologie saranno dunque chiamate a svolgere un ruolo determinante nello sviluppo di soluzioni intermedie in grado di utilizzare le infrastrutture esistenti, con densità di energia paragonabile agli attuali combustibili fossili, ma con il vantaggio di basse emissioni di carbonio associate o, idealmente, nulle.
L’energia primaria per qualsiasi approccio biotech alla produzione massiva di biocarburanti è la luce del sole. Ciò ci pone immediatamente di fronte al dilemma filosofico: “cibo o energia?”. La concorrenza tra le due alternative indubbiamente esiste, ma a nostro avviso è stata molto esagerata da parte di gruppi politici e ambientalisti. Prendiamo ad esempio la coltivazione di tabacco, la quale evidentemente sottrae una grande quantità di terra e acqua all’agricoltura alimentare per soddisfare necessità non primarie, tuttavia nessuno sembra lamentarsi di questo. Anche la produzione di cotone, lana e lino competono per le stesse risorse, ma nessuno nega che sia tanto indispensabile quanto la produzione di alimenti o di energia.
Attualmente non esistono alternative sostenibili alla produzione di materie prime mediante fotosintesi. Purtroppo i tentativi di sviluppare una sorta di “fotosintesi artificiale” con un rendimento massimo teorico del 40% sono falliti. Anche in natura esiste una grande variabilità di efficienza fotosintetica delle diverse specie, ed è compresa nell’intervallo dall’uno al due per cento. I “campioni” della fotosintesi naturale sono il giacinto d’acqua (Euphorbia crassipes), bambù gigante (Phyllostachys pubescens), la canna di zucchero (Saccharum officinarum L.), la lenticchia d’acqua (Lemmna sp.), la palma da olio (Elaeis guineensis) e alcune microalghe (in condizioni di laboratorio controllate). Nessuna di loro può superare il 5% del rendimento teorico.

Figura 1. L’elettrochimica basata sull’energia solare per la produzione d’idrogeno o metanolo con alta efficienza. In futuro dei nanodispositivi integrati potrebbero combinare un’antenna di cattura della luce con un centro di reazione fotochimica contenente un donatore (D) ed un accetore (A) per produrre una fotocorrente stabile, la quale agirà su appositi catalizzatori per produrre reazioni multielettroniche. Tali foglie artificiali potrebbero estrarre elettroni dall’acqua e produrre combustibili da protoni o CO2. (Fonte: Harnessing Solar Energy for the Production of Clean Fuel, SCIENCE POLICY BRIEFING , September 2008)

Con le limitazioni di cui sopra, proporremo alcuni esempi di strategie industriali “Biotech che possono aiutare a portare in breve termine nel mercato biocarburanti e materie prime sostenibili. Al fine di affrontare il dilemma “cibo o energia”, un possibile approccio è quello di sviluppare colture (non esclusivamente energetiche) resistenti al sale. La disponibilità commerciale di piante capaci di crescere in terreni marginali (a scarsa produttività agricola), irrigate con acqua salmastra o addirittura di mare, risolverebbe due problemi contemporaneamente: ridurrebbe la domanda di acqua dolce e consentirebbe l’utilizzo di terra altrimenti deserto, o improduttiva per i tradizionali usi agricoli. In questo senso, le strategie biotecnologiche possono essere due: la pura manipolazione genetica (ponendo i geni delle piante alofite in colture commerciali) oppure la più semplice selezione e miglioria genetica di piante xerofile come i cactus (Opuntia sp.) e l’agave (Agave tequilana). Una filosofia bioingegneristica interessante è quella del progetto di policolture integrateGreen Desert”. Si tratta di una serie di tecnologie messe insieme, capaci di utilizzare acqua di mare convogliata, dall’Atlantico alle shebqhas (depressioni) del Sahara, per semplice gravità. Il progetto dovrebbe essere in grado di produrre, allo stesso tempo, carne di pesce, carne e cuoio di coccodrillo, legname di mangrovia, verdure e altre colture tradizionali coltivate in serre che condensano l’acqua evaporata dalla corrente principale salata ed infine anche energia, sia dal biogas prodotto dalla digestione dei rifiuti organici che da una centrale idroelettrica posta nel punto più basso delle tubazioni d’acqua marina. Il lago ipersalino che si formerà finalmente nel fondo della depressione sarà in grado di supportare la crescita di microalghe come Dunaliella salina, una materia prima importante e di alto valore per l’industria nutraceutica (nutrizione e farmaceutica).

Fig. 2: Schema concettuale della “Biotecnopoli” proposta dal progetto Green Desert.
© prof. Guillermo Garcia Reina, Centro de Biología Marina de Gran Canaria.

Una filosofia diversa per evitare il dilemma “cibo o energia” è quello di produrre biocarburanti esclusivamente con gli scarti della catena di produzione alimentare. In questo senso, le tecnologie disponibili possono essere considerate già mature: la digestione anaerobica, l’etanolo da scarti lignocellulosici ed il biodiesel da oli vegetali esausti ed altri grassi residui. Le tecnologie più promettenti, ancora da sviluppare, sono la produzione di bioidrogeno mediante fermentazione scura, un processo simile alla digestione anaerobica ma che genera una miscela di H2 e CO2 invece del classico biogas, e le celle a combustibile microbiche. La prima tecnologia consente di immagazzinare l’idrogeno prodotto per soddisfare qualche fabbisogno energetico in momenti precisi. Nel secondo caso, l’idrogeno prodotto dalla degradazione batterica di materia organica (solitamente acque reflue), viene consumato nello stesso bioreattore, dove si produce una differenza di potenziale tra due elettrodi.

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Fig. 3. Cella di combustibile microbica (MFC). Riprodotta con autorizzazione di Pilus Energy Ltd.

Dall’altro canto, la saccarificazione enzimatica dei rifiuti lignocellulosici, utili per produrre bioetanolo dalla fermentazione del lievito convenzionale, è già in fase commerciale. Gli unici ostacoli alla diffusione di questa tecnologia sono gli elevati costi e la complessità degli impianti. Le biotecnologie aiuteranno a sviluppare sistemi più economici di produzione degli enzimi necessari.
La fotofermentazione è un percorso alternativo per la produzione di bioidrogeno. Alcuni particolari tipi di cianobatteri sono in grado di degradare i composti organici (in genere polisaccaridi) e acqua, producendo CO2 e H2. Questa tecnologia è in fase sperimentale. Un altro settore di ricerca promettente è la produzione di bioetanolo dalla fermentazione batterica dei rifiuti. Vi è un gruppo di Archaea (Deinococcus sp.) in grado di degradare diversi tipi di rifiuti organici, producendo direttamente etanolo come risultato della sua attività metabolica.

La produzione di biobutanolo e acetone da amido di mais mediante fermentazione con Clostridium acetobutylicum è nota fin dal 1910. L’uso di alghe giganti (Macrocystis pyrifera) invece di mais è stato sviluppato e messo a punto dagli americani e inglesi durante la Prima Guerra Mondiale, ma cadde in oblio con l’era del petrolio a basso costo. Il butanolo può sostituire la benzina senza necessità di alcuna modifica agli attuali motori a ciclo Otto e presenta alcuni vantaggi rispetto all’etanolo o al carburante E80, come la sua minore volatilità in estate. Il butanolo e l’acetone sono anche le principali materie prime per la preparazione di solventi industriali, vernici, gomme sintetiche e materie plastiche. I vantaggi dei Clostridia rispetto ai lieviti sono:, la trasformazione degli amidi e la produzione di una miscela di gas, dalla fermentazione, ricca di H2. I lieviti invece riescono solo a degradare alcuni zuccheri e produrre CO2. L’unico svantaggio del processo ad opera del C. acetobutylicum è l’uso di materie prime come amido e zuccheri e quindi di sostanze commestibili. Tuttavia le biotecnologie possono aiutare a ridurre l’uso di alimenti di qualità nutrizionale selezionando ceppi in grado di fermentare reflui saccarini come: vinacce, melassa e acque di vegetazione effluenti dai frantoi.
I materiali da costruzione rappresentano una grande fonte di emissioni di carbonio in atmosfera. Anche in questo settore industriale le biotecnologie possono aiutare nella creazione di un’economia a basse emissioni di carbonio. L’autore ha già mostrato in un altro articolo il potenziale del bambù gigante in sostituzione del legno e la sua capacità di mantenere il carbonio fissato per lunghi periodi di tempo in forma di elementi strutturali e altri beni durevoli (pavimenti, travi, muri, pannelli, mobili e isolanti). Altri vegetali sono ugualmente interessanti, per esempio, alcuni tipi di cactus e altre piante del deserto producono sostanze gelatinose, chiamate tecnicamente biopolimeri, le quali possono essere aggiunte all’argilla o addirittura ai fanghi stabilizzati provenienti da impianti di trattamento dei liquami, per produrre mattoni cotti semplicemente esponendoli al sole, risparmiando combustibile fossile. Le biotecnologie possono essere utilizzate per migliorare la resa di questi biopolimeri sia in termini quantitativi che qualitativi.











Mario Rosato

Mario Rosato Ingegnere

La sua passione sono le soluzioni soft tech per lo sviluppo sostenibile, possibilmente costruite con materiale da riciclaggio. Un progetto per quando andrà in pensione: costruire un'imbarcazione a propulsione eolica capace di andare più veloce del vento in ogni direzione.