Elogio dell’architettura low-tech

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Le difficoltà dell’economia mondiale hanno generato una condizione nuova: quando è necessario ridurre i costi la semplicità diventa interessante e attraente, e l’architettura non fa eccezione. E in piena crisi economica si scopre come l’architettura sostenibile non significhi per forza architettura high–tech (dai costi altrettanto “high”), quanto piuttosto l’opposto: un sano recupero delle tecnologie più semplici e low–tech (e dunque low–cost). L’architettura vernacolare e contadina, fatta di poca tecnologia e molto buon senso, è il più chiaro esempio di come si possa fare eccellente architettura con budget limitati, trasformando la ridotta disponibilità di denaro in energia creativa. Edifici meno costosi e più intelligenti, meno sofisticati ma ugualmente efficienti, meno lussuosi ma più accoglienti e funzionali (chiedo scusa, oggi si dice user–friendly).

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Lo stesso Bill Dunster, l’architetto che ha progettato a Londra il celebre Bed–Zed (primo rivoluzionario quartiere a emissioni zero) ha sempre ammesso che le uniche cose a dare problemi nel tempo sono state le componenti impiantistiche e in generale gli elementi più high–tech, sostenendo che in futuro la semplificazione tecnologica dovrà diventare il nuovo paradigma dell’architettura sostenibile. Le prestazioni indotte dall’alta tecnologia infatti ci distolgono dal fatto che l’architettura deve fare i conti prima di tutto con il contesto ambientale, e che il contributo dell’high–tech, sicuramente utile, non può divenire il centro della progettazione sostenibile.

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In una casa sostenibile low–tech l’elemento fondamentale è la massa termica che smorza le variazioni di temperatura, cosa che avveniva in tutte le case antiche con murature di notevole spessore (e dunque notevole massa),mentre nelle case moderne si tende ad avere alti coefficienti di isolamento con materiali nuovi e high–tech, ma ci si dimentica della massa termica. Nel progetto di un edificio sostenibile tutto dovrebbe essere armonizzato, sfruttando sempre al massimo le soluzioni low–tech che ben si sposano con la bioedilizia, e solo dopo pensare a sistemi ad alta componente tecnica.

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Tanto per fare un esempio, se i miei pannelli fotovoltaici high–tech di ultima generazione devono servire a produrre energia per il mio condizionatore in estate, vuol dire che di sostenibilità non ho capito proprio nulla. Ci sono interventi di coibentazione assolutamente low–tech come il cappotto e le schermature solari che dovrebbero essere la prima cosa. Prima si riducono le dispersioni e gli sprechi, poi si passa al resto, altrimenti è come avere una falla nello scafo e pretendere di restare a galla semplicemente facendo girare al massimo i motori. Spreco su spreco, il tutto spendendo inutilmente denaro. La casa passiva dopotutto è quanto di meno sofisticato esista: è fatta da tecnologie alla portata di tutti, non a caso è la grande passione di tutti gli autocostruttori.

Henry Ford, che proprio sprovveduto non era, aveva intuito, tra le altre cose, i vantaggi dell’innovazione low–tech e della semplicità, sentenziando: “Tutto quello che non c’è non si consuma, non si rompee non costa. Tagliando le parti inutili e semplificando le necessarie, noi riduciamo anche la spesa di produzione. È una cosa di semplice logica; ma curioso a dirsi, in pratica si suole cominciare dalla riduzione della spesa di lavoro anziché dalla semplificazione del prodotto!” (capito Marchionne? Ndr off–topic).

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Attenzione però a non cadere nel luogo comune che “così facendo si ritorna all’età della pietra”, o altre amene perle di lungimiranza. Come più volte detto per la Decrescita, il punto chiave da capire è che bisogna eliminare il superfluo, non privarsi del necessario. Low–tech in altri termini non significa sfiducia nella tecnologia, quanto piuttosto fiducia nel fatto che si possa ottenere il massimo delle prestazioni con il minimo delle risorse, utilizzando la più avanzata e rinnovabile delle tecnologie: l’ingegno umano. Un invito a riconciliarsi in modo più stretto con la natura e i suoi elementi, applicando all’architettura i principi virtuosi della Decrescita come il circolo delle “8R” .

L’architettura è sempre stata low–tech in questo senso, poiché ha sempre avuto uno stretto rapporto con la natura e con il clima e questa è una delle ragioni alla base della ricchezza di forme e linguaggi che contraddistinguono il nostro patrimonio storico. E guarda caso, l’omologazione architettonica delle nostre città al pensiero unico (pseudo) razionalista è avvenuto di pari passo al progressivo abbandono dell’approccio climatico della progettazione, del culto della macchina, dell’illusione del dominio sulla natura e dell’abitudine a costruire ad preputium in nome del mero profitto monetario, che in realtà impoverisce i luoghi e chi li abita, con case che sono dei colabrodo energetici.

“Da quando è in vigore l’obbligo di indicare la classe energetica, è diventato chiaro a tutti che l’Italia è un Paese di case di serie G”
(Mario Cucinella)

Alberto Grieco

Alberto Grieco Architetto

Frequentando una signora chiamata Storia, ha scoperto che l’architettura bio-eco-ecc. non ha inventato Nulla©, ed è per questo che perde ancora tempo sui libri. Architetto per vocazione; tira con l’arco, gira per boschi, suona e disegna per vivere. Lavora nel tempo libero per sopravvivere.